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Articoli e news

9 Ottobre 2021  

Orti e giardini in città sono come centrali elettriche per le api
di Vincenzo Foti - 27 FEBBRAIO 2021

Una ricerca britannica ha calcolato che il nettare prodotto nelle aree urbane proviene per l'85% proprio dai giardini delle zone residenziali. " I risultati evidenziano il ruolo fondamentale che gli impollinatori svolgono nel sostenere e promuovere la biodiversità nelle aree urbane aree"

Fiumi di miele in pieno centro. Secondo una ricerca condotta dall'Università di Bristol e pubblicata sul Journal of Ecology, gli orti domestici e urbani delle città rappresentano la principale 'tavola calda' di cibo per gli insetti impollinatori come api e vespe. I dati rivelano che il nettare prodotto nelle aree urbane proviene per l'85% proprio dai giardini delle zone residenziali. La qual cosa indica che tra un tetto e l'altro si lavora parecchio.
Sono state mappate le api di tutto il mondo
La scoperta ha impressionato gli stessi scienziati. Secondo Nicholas Tew, ecologo e autore principale dello studio, "la quantità e la qualità del nettare finora sono state misurate in campagna, ma non ancora nelle aree urbane. Per questo abbiamo deciso di estendere le indagini. Ci aspettavamo, è vero, che i giardini in città costituissero un luogo importante per la produzione di nettare, ma non in questa misura. I risultati evidenziano in modo lampante il ruolo fondamentale che gli impollinatori svolgono nel sostenere e promuovere la biodiversità nelle aree urbane aree in tutto il Paese”.

Sos insetti: otto modi per aiutarli
Molte popolazioni di insetti nel mondo stanno già calando dell'1-2% all'anno a causa dei cambiamenti climatici e ambientali prodotti dalle attività umane. L'allarme arriva da Pnas, attraverso i dati raccolti da 12 studi firmati da 56 ricercatori che spiegano anche come possiamo fare per salvare la biodiversità.

L'esperimento nel Regno Unito. La ricerca, condotta in collaborazione con le università di Edimburgo e la Royal Horticultural Society, ha esaminato la produzione di nettare in quattro principali città del Regno Unito: Bristol, Edimburgo, Leeds e Reading. L'esperimento è stato eseguito su circa 200 specie di piante, estraendo il nettare da più di 3.000 singoli fiori. Con l'ausilio di un sottile tubo di vetro, gli scienziati hanno estratto il nettare per poi misurarne la concentrazione di zucchero tramite il rifrattometro, un dispositivo che misura quanta luce si rifrange al suo passaggio attraverso una soluzione chimica. Tew e i suoi colleghi sono così giunti alla conclusione che il nettare reperito nei fiori dei giardini urbani proviene da una maggiore varietà di piante rispetto a quella registrata sui terreni agricoli e persino nelle riserve naturali. E che quasi un terzo del territorio delle aree cittadine (29%) comprende orti urbani. Dagli animali all'uomo, la ricerca dell'Università di Bristol riscopre anche la centralità della figura del giardiniere, che diventa custode della conservazione degli insetti impollinatori.
Una Biblioteca degli Alberi tra i grattacieli
“Senza giardini – conferma Tew – in città si troverebbe molto meno cibo per api, vespe, farfalle, falene, mosche, coleotteri. È dunque fondamentale che i progetti delle nuove abitazioni includano spazi verdi. Così come è importante, per i giardinieri, assicurarsi che i loro giardini possano offrire il miglior habitat possibile per i nostri piccoli amici”. "Così le mie api vi raccontano cosa c'è nell'aria che respirate". La ricetta per conseguire questo obiettivo la danno gli stessi studiosi inglesi. Anzitutto occorre piantare fiori ricchi di nettare e assicurarsi che sia presente sempre qualche specie in fioritura dall'inizio della primavera al tardo autunno. Meglio poi sarebbe falciare il prato a scadenze prolungate per favorire la crescita di denti di leone, trifogli, margherite e di altre piante utili agli impollinatori. Rigorosamente vietati i pesticidi.

Api, il 25% delle specie non si vede più dagli anni ‘90. Ma una startup vuole salvare gli alveari con l'AI
Stephanie Bird, entomologa della Royal Horticultural Society, conclude che proprio da chi si occupa dei giardini (quindi dall'uomo) dipende la vita degli insetti. "I giardini non dovrebbero essere visti come entità isolate – chiarisce Bird – ma come una rete di risorse naturali in cui il mantenimento di un habitat ottimale diventa preziosissimo per la conservazione della biodiversità".

La Repubblica 27 Gennaio 2021


1 Settembre 2021  

Consigli per l'orto e il giardino

Si consiglia una buona lettura: si tratta di una guida per appassionati del giardinaggio, e non solo, che vogliono dare un tocco di verde al proprio orto o al proprio balcone.
La guida fornisce infatti una panoramica dei lavori dell’orto stagione per stagione, consigli di sicurezza, suggerimenti per creare un orto rialzato in balcone e per creare un giardino che protegga la biodiversità. Infine, è stato realizzato un pdf che mostra in modo davvero intuitivo tutte le consociazioni consigliate per organizzare al meglio l’orto.

Potete trovare la rubrica e gli articoli al sito: https://www.c-and-a.com/it/it/shop/orto-e-giardinaggio-per-principianti



14 Novembre 2020 - da Comune Info (articolo di Alex Zanotelli) 

L’acqua quotata in borsa (di Alex Zanotelli)

Il Cme Group, la più grande piazza finanziaria dei contratti a termine del mondo, in collaborazione con il Nasdaq, ha annunciato la creazione del primo future sul mondo sull’acqua. Il bene comune più essenziale alla vita va dunque in borsa come l’oro, il petrolio e ogni altra merce. Il capitalismo predatorio non conosce limiti. Intanto, Alex Zanotelli lancia un nuovo appello al Presidente della Camera e alle forze politiche di governo: è una vergogna che dopo il voto italiano sul referendum del 2011 non ci sia ancora una legge per la gestione pubblica dell’acqua
L’acqua, a livello mondiale, sta diventando sempre più l’oggetto del desiderio del mercato e della finanza. Questo bene così prezioso (il più prezioso insieme all’aria!) sta per diventare una commodity (merce), quotata in borsa. Il capitalismo predatorio non conosce limiti. Sarà proprio negli Usa, cuore del capitalismo mondiale, precisamente in California, che il Cme Group (la più grande piazza finanziaria dei contratti a termine) esordirà il prossimo anno con la quotazione in borsa dell’oro blu.
Cosa ci potrebbe essere di più catastrofico che giocare in borsa sull’acqua, in un momento in cui già scarseggia per miliardi di persone? Si stima che oggi quattro miliardi di persone (due terzi dell’umanità) devono affrontare scarsità dell’acqua, per almeno un mese all’anno. È assurdo che la più importante risorsa del Pianeta divenga negoziabile nel momento in cui la sua disponibilità è messa sempre più a rischio dai cambiamenti climatici.
Si stima altresì che entro il 2030 , ben settecento milioni di persone potrebbero essere forzate ad abbandonare il proprio territorio per la stessa ragione. E il Rapporto dell’Unesco (2018) afferma che nel 2050 ben tre miliardi di persone soffriranno per una grave mancanza d’acqua. Questo in buona parte è il risultato dei cambiamenti climatici: l’acqua è la prima vittima del disastro ambientale. E a pagarne le conseguenze saranno soprattutto i poveri. Se oggi abbiamo oltre i venti milioni di morti all’anno di fame, domani avremo il doppio di morti per sete.
Ma purtroppo già oggi l’acqua potabile è gestita in buona parte del mondo dalle multinazionali dell’acqua (Veolia, Suez….) che diventano sempre più potenti (E’ incredibile, per esempio, che ora la potentissima Veolia voglia comprare il 30% delle azioni dell’altra multinazionale francese Suez, per poi lentamente assorbirla).
E le politiche di queste multinazionali le tocchiamo con mano anche in Italia, dove sono presenti, con l’aumento delle tariffe, diminuzione della qualità dell’acqua, distacchi di erogazione idrica a famiglie indigenti.
«Purtroppo ancora oggi in Italia e non in Africa – ha detto recentemente papa Francesco nella giornata del ringraziamento – questo diritto è negato agli ultimi e agli scartati a causa dell’egoismo delle multinazionali che si stanno accaparrando le risorse idriche».
È una vergogna che questo avvenga proprio in Italia, il cui popolo ha votato il Referendum del 2011, promosso dal Forum dei Movimenti italiani per la gestione pubblica dell’acqua: l’acqua deve uscire dal mercato e non si può fare profitto su questo bene fondamentale.
Ben sette governi si sono succeduti in questo paese senza che nessuno sia stato capace di trasformare la decisione del popolo italiano in legge.
Eppure negli ultimi due governi c’era una presenza maggioritaria di un partito in Parlamento, i 5 Stelle, che avevano fatto dell’acqua la loro prima stella.
Dopo tre anni di governo, prima giallo-verde, poi giallo-rosso, i 5 Stelle sono riusciti solo a discutere della Legge di iniziativa popolare nella commissione Ambiente della Camera senza riuscire a portarla in Parlamento per il voto.
Una delle grosse obiezioni per la ripubblicizzazione è il costo dell’operazione (secondo i media, legati all’industria, sarebbe di venti miliardi). I nostri esperti invece affermano che con soli due miliardi è possibile ripubblicizzare.
È mai possibile allora che i partiti al governo siano pronti a investire miliardi e miliardi in Grandi Opere, come la Lione-Torino o il Ponte di Messina e non in un bene così fondamentale come l’acqua?
Perché non investire nella ri-pubblicizzazione dell’acqua? Perché non investire nei 300mila km di rete idrica che perdono almeno il 50% dell’oro blu? È questa la Grande Opera da fare. Mi appello ai 5 Stelle perché abbiano il coraggio di portare a casa la loro prima stella: l’acqua.

Mi appello soprattutto al Presidente della Camera, Roberto Fico, che ha legato la sua Presidenza alla Legge sull’acqua, perché si impegni ad arrivare al più presto alla ripubblicizzazione di questo grande dono di Dio. Mi appello con forza al Pd e al segretario Zingaretti perché facciano questo gesto di umanità con un sano coraggio di votare la Legge di iniziativa popolare bloccata nella Commisione Ambiente della Camera. L’acqua, insieme allo Ius Culturae, potrebbero essere due grandi «doni» elargiti da questo governo al popolo italiano. Ne abbiamo di bisogno in questo momento difficile. Ridateci la speranza nelle istituzioni.


12 Novembre 2020 - da Ambiente informa SNPA (articolo di Fabio Grilli) 

Cambiamenti climatici in Italia

La Pandemia ci ha messo alla prova, ma ci ha fatto anche capire che siamo in grado di affrontare scenari emergenziali, purché, lanciato l’allarme, si agisca con velocità prima che il problema vada oltre la nostra capacità di affrontarlo. Durante l’emergenza sanitaria abbiamo visto che è possibile avere atteggiamenti solidali, non solo tra persone, ma anche tra governi e scienziati. Il Covid-19 si è presentato come una “versione accelerata” del problema del cambiamento climatico, che dobbiamo affrontare con la stessa determinazione, passando dal riconoscere il problema all’agire sullo stesso. Le soluzioni per attenuare il problema esistono, e sono state più volte richiamate dagli esperti dell’IPPC. Il punto fondamentale su cui incidere è la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
In Italia, la Fondazione Centro Euro-Meditterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha elaborato un documento di sintesi delle conoscenze scientifiche su impatti, rischi e interazioni dei cambiamenti climatici a livello nazionale in relazione a diversi stadi di riscaldamento e modelli di sviluppo.
Il documento rappresenta una solida base scientifica e tecnica, utilizzabile anche dai responsabili dei processi decisionali per le fasi di programmazione, pianificazione e allocazione delle risorse necessarie per metter in atto politiche climatiche e territoriali adeguate. Al tempo stesso può essere un utile strumento per diffondere l’informazione e aumentare la consapevolezza dei singoli sul cambiamento climatico.
In sintesi, i cambiamenti ipotizzati e riassunti nel report sono i seguenti.
Temperatura in aumento; i modelli climatici sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2 gradi nel periodo 2021-2050 (rispetto al 1981-2010). Nello scenario con cambiamenti climatici più intensi si evidenziano variazioni maggiori in zona alpina e nella stagione estiva. In questo scenario si arriva ad ipotizzare anche un innalzamento della temperatura di 5 gradi a fine secolo.
Meno pioggie ma più intense; tra i principali risultati evidenziati dalle analisi degli scenari climatici vi è una diminuizione delle precitazioni nel periodo estivo (più lieve in primavera) per il Sud e per il Centro Italia, aumentano le precipitazioni nel periodo invernale nel Nord Italia. Associato a questi segnali vi è un aumento sul territorio della massima precipitazione giornaliera per la stagione estiva ed autunnale, più marcata per lo scenario ad elevate emissioni di gas serra.
Più giorni caldi e secchi; sia per lo scenario ad emissioni contenute che per quello ad emissioni elevate emerge un consistente aumento di giorni con temperatura minima superiore a 20 gradi e, nella stessa stagione, un aumento della durata dei periodi senza pioggia.
Aumento delle temperature superficiali e del livello del mare, dell’acidificazione delle acque marine e dell’erosione costiera.

Tutti scenari confermati anche a livello internazionale, circa un anno fa, infatti, il rapporto ONU sul clima metteva in luce un allarmante innalzamento degli oceani e un preoccupante scioglimento dei ghiacciai. Ormai esiste un ampio consenso nella comunità scientifica internazionale sul fatto che gli oceani si stiano sempre più innalzando dagli anni Settanta ad oggi. Oceani più caldi comporteranno anche eventi atmosferici molto più intensi ed estremi, con uragani e tifoni che potranno causare grandi inondazioni, complice anche l’innalzamento dei mari lungo le aree costiere.
Gli oceani hanno avuto un importante ruolo assorbendo il 90 % circa del calore aggiuntivo che si è prodotto a causa delle attività umane. La velocità di assorbimento è aumentata a partire dai primi anni Novanta, con effetti mai osservati prima per interi ecosistemi.
L’aumento della temperatura di gigantesche masse d’acqua, come quelle oceaniche, ha portato a un’espansione del volume degli oceani e al conseguenze innalzamento dei mari, il processo è ormai sempre più acuito dal progressivo scioglimento dei ghiacci in Antartide e in Groenlandia.
La calotta glaciale antartica, la più grande massa di ghiaccio del nostro pianeta, ha continuato a ridursi a causa del riscaldamento globale. Il rapporto spiega che tra il 2007 e il 2016 la perdita di ghiaccio è triplicata rispetto al decennio precedente. Le cose non vanno meglio in Groenlandia, dove nello stesso periodo si è assistito a un raddoppio nella perdita di ghiaccio.
Il riscaldamento globale sta inoltre modificando il clima in aree come la Siberia e il Canada settentrionale, dove il suolo in condizioni normali è costantemente gelato (permafrost). Se le emissioni continueranno ad aumentare, si stima che il 70 % del permafrost si scioglierà, liberando centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica e metano, che potrebbero complicare se non vanificare molti degli sforzi per ridurre le emissioni dovute alle attività umane.
Ognuno di noi può, infine, provare ad utilizzare il Climate interactive EN-ROADS, un “simulatore” per esplorare i vari scenari che si potrebbero raggiungere applicando diverse politiche in ambito ambientale per limitare i cambiamenti climatici.
Il simulatore può essere utilizzato da politici, amministratori, educatori, professori, giornalisti, imprenditori ma anche semplici cittadini. Tutti potranno esplorare, per conto proprio, le possibili conseguenze sul clima, applicando diverse politiche energetiche, di crescita economica e consumo del suolo.
Non si tratta di un gioco, il simulatore, infatti, è costruito su base scientifica. Il consiglio è quello di abbinarlo al workshop EN ROADS e al Climate Action Simulation per avere una visione di insieme dei gravi problemi legati al cambiamento climatico.

Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia (scarica la brochure)


2 Novembre 2020 - da SALVIAMO IL PAESAGGIO (articolo di Ugo Corrieri, Presidente SIMEF Società Italiana di Medicina Forestale)

Le evidenze scientifiche confermano: tagliare e bruciare estesamente alberi incrementa malattie, morti precoci e cambiamenti climatici

Interveniamo sulle numerose voci che si levano contro la tutela paesaggistica che limita i tagli dei boschi italiani, tra le quali la lettera inviata dal CONAF ai Ministri Bellanova e Franceschini.
Le foreste non sono solo legna: sono sistemi complessi, scrigni di biodiversità, spazi vitali depositari di valori etici, storici, spirituali, paesistici fondamentali per la salute del Pianeta Terra e dei suoi abitanti. Ciononostante, in Italia prevale un riduzionismo economico che degrada le foreste a materia inerte da sfruttare.
Oltre agli interessi della filiera del legno, si aggiunge adesso l’utilizzo dei boschi a fini energetici: pratica sconfessata da circa 800 scienziati, nonché dall’E.A.S.A.C. e da un recente studio su “Nature”.
Incrociando i dati ISPRA ed EEA, un mio studio (Epidemiol Prev 2019; 43 (4):300-304.) evidenzia che bruciare biomasse legnose causa 1/3 di tutto il PM2,5 atmosferico, provocando circa 20.000 morti/anno in Italia. Il metano, che emette 2000 volte meno PM2,5, causerebbe solo 10 morti/anno; eppure incentiviamo di tagliare e bruciare legno.
Secondo i dati 2017 di GSE ed ENEA, ogni anno disporremmo di circa 26 milioni di tonnellate di biomasse vergini, mentre ne bruciamo circa 52 milioni, il doppio e vediamo tagliare diffusamente alberi nelle città e foreste italiane. Tagli estesi e diffusi possono alterare profondamente il bilancio del carbonio: i boschi funzionano come serbatoi, diventando fonte che aumenta la CO2 in atmosfera o pozzo che la sequestra negli alberi in accrescimento.
I boschi governati a ceduo, da pozzo potrebbero quindi anche diventare sorgenti di CO2 gravemente climalterante. Riguardo poi ai dati di aumento della superficie forestale diffusi dal Mipaf, il computo non comprende le volumetrie delle biomasse forestali, che risultano invece molto ridotte a seguito dei tagli. Il terzo inventario forestale nazionale (INFC 2015) non ha ancora completato i rilievi a terra, senza i quali è impossibile calcolare densità e volume complessivo e ogni stima è incompleta e provvisoria.
Certamente poi il taglio molto frequente su superfici sempre più estese favorisce il dissesto idrogeologico, mentre lasciare crescere le foreste secondo cicli naturali ci proteggerebbe dalle sempre più frequenti, drammatiche alluvioni.
Infine, i boschi ricchi di biodiversità sono fondamentali per il benessere e la salute delle persone. Il Prof. Qing Li (2008) in una vastissima indagine su tutte le prefetture del Giappone ha evidenziato la correlazione diretta tra maggiore copertura forestale e minore mortalità da cancro. Negli Stati Uniti ci sono circa 7 miliardi di frassini; un insetto ne ha uccisi circa 100 milioni e nell’insieme delle 15 Contee americane più colpite è stata trovata (Donovan GH et al.. Am J Prev Med. 2013 Feb; 44(2): 139-45) una correlazione significativa tra moria dei frassini e delle persone: tra il 1990 e il 2007 si è verificato un eccesso di 15.080 morti premature per malattie cardiovascolari e di 6.113 per malattie delle basse vie respiratorie.
Come se non bastasse, la ceduazione riduce molto la biodiversità, fatto che secondo la World Allergy Organization causa molteplici patologie allergiche, croniche e tumorali. Anche l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) parla chiaro (7.2020): ”La riduzione di biodiversità porterà a Pandemia peggiori di quella attuale”.
Le evidenze scientifiche sono inequivocabili: tagliare e bruciare estesamente alberi incrementa le malattie, le morti precoci e accentua i cambiamenti climatici mentre alberi e foreste vivi ci proteggono e sanificano.
Cittadini e decisori politici lo devono tenere sempre presente; i legittimi interessi economici devono venire sempre dopo la tutela della salute e della vita umana, senza contare che preservare le foreste per il benessere può dare molto più lavoro che tagliarle e mandarle in fumo


26 Ottobre 2020 - da COMUNE INFO  (Rete di Cooperazione Educativa) 

USCIAMO

È possibile ripensare l’educazione durante il tempo della pandemia? Non si tratta di una una domanda inopportuna perché ragionare di educazione significa pensare a un’idea di società diversa, soprattutto se la discussione parte dall’importanza dell’outdoor education, anche come risposta alla diffusione del contagio. Usciamo. Il tempo dell’educazione all’aperto è un e-book, curato dalla redazione di Comune in collaborazione con la Rete di Cooperazione Educativa, con analisi, racconti di esperienze (per lo più maturate in scuole pubbliche) a due manifesti (I diritti naturali dei bambini e della bambine, di Gianfranco Zavalloni, e il Manifesto dell’educazione diffusa). L’e-book – qui scaricabile gratuitamente – raccoglie interventi di Sonia Coluccelli, Franco Lorenzoni, Paola Tonelli, Paola Nicolini, Gruppo di ricerca interuniversitario “Educazione e Natura”, Andrea Staid, Paolo Mai, Catia Castellani, Paolo Piacentini, Carlo Ridolfi, Dimitrios Evangelou, Francesca Lepori, Terry Marinuzzi, Anna Chiara Viviano, Enza Galluzzo, Cosetta Lomele, Fiorella Nicolini e Ilaria D’Aprile

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Quando orrore e angoscia fanno di tutto per dominare incontrastati, la prima via di fuga resta non rinunciare al pensiero, la seconda è osare. È possibile immaginare e sperimentare nuove forme di vita sociale? È possibile ripensare l’educazione durante il tempo della pandemia? Possono sembrare domande fuori luogo in questo momento, ma sono invece decisive, perché soltanto se si riesce a rispondere sì a quelle domande, soltanto se si riesce a ribaltare la vita di ogni giorno nel corso della tormenta epidemica e sociale, è possibile cominciare a sottrarsi al cattivo presente.
Secondo Laura Costa Reghini e Chiara Rendano, maestre nella scuola primaria Palli di Genova, è possibile, ad esempio, trasformare l’anno scolastico più difficile in qualcosa di indimenticabile. Le prime settimane del nuovo anno vissute ogni giorno dai bambini e dalla bambine della Palli tra boschi e spiagge sembrano confermarlo.
Alberto Manzi diceva che una maestra o un maestro possono insegnare ai bambini e alle bambine il ciclo dell’acqua e se lo fanno in modo didatticamente adeguato lo capiranno. Tuttavia, “se un bambino ha avuto esperienza della pioggia sul viso, quell’apprendimento sarà diverso. L’ambiente esterno diventa il campo di esperienza…”. Ecco perché abbiamo bisogno di uscire. Non si tratta solo di evitare gli spazi chiusi per ridurre il contagio. Abbiamo bisogno di fare scuola all’aperto, di uscire dagli schemi e dagli schermi. E non basta neanche uscire: occorre imparare a pensare in modo critico, agire e costruire relazioni sociali in modo diverso, occorre mettere in discussione l’idea di spazio e quella di tempo intorno alle quali sono pensate la società e la scuola. Occorre formarsi all’educazione all’aperto, ma al tempo stesso occorre la scaltrezza per partire qui e ora. Insomma, è possibile iniziare ad uscire anche per prendersi cura di un piccolo angolo del cortile scolastico.

Ad uscire fuori dagli schemi è stato, in primavera, l’invito Una scuola speciale per tutti e tutte, promosso da Francesca Lepori (pedagogista, fondatrice dell’Asilo Bosco Caffarella di Roma) sulle pagine web di Comune. L’invito proponeva, già in aprile, una manutenzione straordinaria dei giardini e cortili scolastici in vista della riapertura della scuola a settembre: in pochissime ore ha raccolto moltissime adesioni, il post su facebook oltre 100.000 visualizzazioni, qualche giorno dopo un appello affine è apparso su alcuni grandi media. L’outdoor education e l’educazione diffusa sono diventati improvvisamente temi discussi, certo non sempre in modo approfondito, da numerosi insegnanti, genitori, educatori.
La copertina dell’e-book Usciamo. Il tempo dell‘educazione all’aperto. Tutte le fotografie dell’e-book sono di Francesca Lepori e raccontano alcuni momenti della vita di ogni giorno nell’Asilo Bosco Caffarella di Roma. 

Usciamo. Il tempo dell’educazione all’aperto raccoglie punti di vista diversi da quelli dominanti e racconta esperienze maturate soprattutto in scuole pubbliche. I primi interventi (Sonia Coluccelli, Franco Lorenzoni, Paola Tonelli, Paola Nicolini, Gruppo di ricerca “Educazione e Natura”, Andrea Staid, Paolo Mai, Catia Castellani, Paolo Piacentini, Carlo Ridolfi, Dimitrios Evangelou) ragionano su come e perché ripensare il rapporto tra scuola e territorio. La seconda parte (Francesca Lepori, Terry Marinuzzi, Anna Chiara Viviano, Enza Galluzzo, Cosetta Lomele, Fiorella Nicolini e Ilaria D’Aprile) racconta invece quanto già accade in alcuni angoli di Roma, Bari, Genova, Urbino e perfino tra i rami di un pioppo di Palombara, alle porte di Roma. Due manifesti, infine, quello su I diritti naturali dei bambini e della bambine (di Gianfranco Zavalloni) e il Manifesto dell’educazione diffusa pubblicato su Comune nel 2018 – e ora anche nel libro di Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli, Educazione diffusa, Istruzioni per l’uso (Terra nuova ed.) – disegnano alcuni dei nuovi sentieri sui quali camminare.

21 Ottobre 2020 - da AMBIENTE INFORMA SNPA 

Aree fragili, anteprima di Ecoscienza 4/2020

È disponibile e scaricabile on line il documento di Ecoscienza “Aree fragili” con alcune riflessioni interdisciplinari per una maggiore sostenibilità.

Vento, aria, fumo” è il titolo di un convegno (23-24 ottobre 2020) di cui riportiamo alcune riflessioni. Da alcuni anni un gruppo di ricercatori promuove un evento dedicato alle “aree fragili” (un concetto senza una definizione precisa, ma in cui assumono particolare importanza i temi della distanza, della periferia, della marginalità) con un approccio che mette insieme diverse discipline: sociologia, antropologia, studio del territorio, ecologia, scienze ambientali, geografia, economia e altre ancora. Quello che sempre emerge è l’importanza di tenere insieme l’approccio scientifico e la riflessione culturale, i fenomeni ambientali e la presenza e l’impatto delle attività umane.

Il tema di quest’anno (sottotitolo del convegno: “Reazioni sociali ai cambiamenti atmosferici in aree rurali fragili“) è di particolare interesse per il settore ambientale e infatti ha visto coinvolti anche numerosi rappresentanti del Sistema nazionale di protezione dell’ambiente.
Il punto di partenza, il vento, è al centro delle riflessioni sulla tempesta Vaia, che due anni fa ha colpito ampie aree del nord Italia, segnando, come scrive Giorgio Osti nella sua presentazione, “un punto di non ritorno nella manifestazione e consapevolezza del cambiamento climatico“.
Su aria e fumo, quello della qualità dell’aria e del suo impatto sulla salute è un tema ricorrente in numerosi approfondimenti pubblicati su Ecoscienza, con un focus particolare in questo caso sulle aree periferiche e su alcuni possibili “falsi miti” da sfatare sull’argomento.
Altro tema emergente su cui si concentrano alcune riflessioni qui presentate è quello della citizen science e del coinvolgimento della popolazione nella ricerca scientifica, un nuovo paradigma che ripropone la necessità di integrazione tra diversi saperi e diverse sensibilità.

Il servizio “Aree fragili” su Ecoscienza 4/2020

20 Ottobre 2020 - da AMBIENTE INFORMA SNPA  

Ridurre la produzione di rifiuti plastici

Il rapporto EEA evidenzia come la produzione di plastica abbia un costo ambientale; nel 2012, il contributo all’inquinamento atmosferico conseguente alla produzione di plastica e al suo incenerimento è stato pari a 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari alle emissioni prodotte dalla Polonia nello stesso anno

Quest’anno, complice la Pandemia, non si parla molto di rifiuti plastici, sembra essere andata in secondo piano la questione della presenza delle plastiche, nano e micro, nei nostri mari e lo stesso si può dire per le campagne di sensibilizzazione all’utilizzo di prodotti alternativi alla plastica usa e getta, un esempio per tutti le borracce al posto delle bottigliette monouso d’acqua.

Secondo i dati riportati nel report “ Preventing plastic waste”, elaborato dall’Agenzia Europea per l’ambiente (di seguito EEA), la richiesta di plastica sta aumentando nel mondo e in Europa, nel 2017 la richiesta di plastica si fermava a quasi 52 milioni di tonnellate, contro le 46 tonnellate del 2010, il trend di crescita negli ultimi anni è risultato sempre costante.
La produzione di plastica ha raggiunto le 348 milioni di tonnellate nel 2017, con una maggiorazione di 13 milioni di tonnellate negli ultimi anni, l’aumento della richiesta è dovuto soprattutto al fatto che la plastica ha un basso costo e risulta versatile, si adatta a diversi impieghi non solo nel settore degli imballaggi ma anche nel comparto delle costruzioni, delle autovetture e in quello dell’elettronica.
Le diverse applicazioni della plastica incidono sullo smaltimento, se usiamo questo materiale in un imballaggio usa e getta, diventerà un rifiuto in poco tempo ma se lo utilizziamo nell’edilizia, invece, si trasformerà in un rifiuto non prima di 50 anni.
Questo incide anche sulle politiche di prevenzione che devono essere attuate, e che necessitano di essere suddivise in base alla tipologia di plastica e al suo diverso uso in differenti tipi di prodotti.
Il consumo di plastica si riflette inevitabilmente sulla produzione di rifiuti plastici che è anch’essa in aumento, mentre la quota di riciclaggio per questa tipologia di rifiuti si attesta intorno al 30%. Nel 2016 una buona quantità di rifiuti plastici prodotti in Europa sono stati destinati a paesi extra-europei mentre solo il 6% si stima che sia stato riciclato in paesi dell’UE.
Naturalmente i quantitativi di rifiuti plastici prodotti nei diversi paesi europei sono alquanto diversi, come sono differenti le politiche di prevenzione messe in atto. Questo report EEA cerca di indagare quali politiche di prevenzione stiano attuando i diversi paesi UE e quali siano le buone pratiche realizzate. Analizzando i singoli programmi di prevenzione rifiuti dei paesi membri UE, sono emerse 173 misure di prevenzione il 60% di queste riguardano la fase di produzione mentre la restante parte quella del consumo. Si è deciso di intervenire su:

• la progettazione ecocompatibile dei prodotti, cd ecodesign,
• le misure di riduzione della presenza di sostanze pericolose nei prodotti di plastica
• gli accordi volontari
• l’attività di informazione
• gli strumenti di mercato
• le misure di tipo normativo.

La stragrande maggioranza delle misure riguardano la riduzione del quantitativo di rifiuti plastici prodotti mentre minoritarie risultano quelle riguardanti l’eco-design e le misure per limitare e/o eliminare la presenza di sostanze pericolose nei prodotti.
Molte delle azioni previste dai singoli paesi sono da considerarsi “soft”, ovvero prevedono delle campagne di informazione e comunicazione e degli accordi su base volontaria, ma ci sono anche alcune misure che incidono sul mercato, tra queste, quelle che hanno ottenuto maggiore successo sono quelle che hanno inciso sull’uso quotidiano di buste usa e getta per la spesa.
Dal quadro predisposto, emerge che nella metà dei paesi esaminati, il problema della sovraproduzione di rifiuti in plastica è tenuto in debita considerazione, in particolare 14 paesi e 5 regioni lo ritengono tra i principali problemi ambientali, mentre gli altri non hanno un capitolo dedicato a questa tematica; non è da escludere, però, che abbiamo una normativa specifica, a livello nazionale o regionale, che si occupi di questa problematica, come nel caso dell’Italia.
Nel programma di prevenzione italiano non si parla di rifiuti plastici e di come prevenirli, ma a livello nazionale esiste una normativa per la riduzione dell’uso di sacchetti in plastica usa e getta, che ha dato buoni risultati e una normativa che vieta l’uso di microplastiche nei prodotti per la pulizia e l’igiene personale, entrata in vigore agli inizi di quest’anno.
Al contempo, alcune regioni, come la Toscana, hanno legiferato sul tema, in questa direzione, infatti, va la legge regionale n. 37 (pubblicata sul BURT n. 31 del 28 giugno 2019) che contiene “Misure per la riduzione dell’incidenza della plastica sull’ambiente” con cui si prevede che, in Toscana, si limiti l’uso di prodotti in plastica usa e getta in
• manifestazioni fieristiche, sagre, fiere mercato, anche di comunicazione, organizzate o finanziate, anche in parte, dalla Regione, enti locali, enti e aziende soggette alla vigilanza degli stessi
• parchi, aree protette, lidi e spiagge del demanio marittimo

Nel primo caso il divieto riguarda contenitori, mescolatori per bevande, aste a sostegno di palloncini, cannucce e stoviglie quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso. Nel secondo caso, invece, è vietato l’utilizzo, ai fini della somministrazione di cibi e bevande, di contenitori, mescolatori per bevande, cannucce e stoviglie quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso.
La normativa regionale aveva portato diverse enti locali della costa toscana (qualcuno, in realtà, anche prima dell’entrata in vigore della norma della Regione Toscana) a predisporre atti amministrativi per limitare l’uso di prodotti usa e getta di plastica sulle spiagge. Tra queste almeno una trentina di amministrazioni.

Il rapporto EEA mette in evidenza che la maggior parte delle misure di prevenzione stabilite dai paesi si occupano di prevenzione quantitativa, mentre sono state evidenziate solo 14 misure di tipo qualitativo ovvero che riguardano l’eco-design, mentre per quanto riguarda la riduzione delle sostanze pericolose nei prodotti in plastica, solo cinque misure menzionano esplicitamente questo obiettivo. È chiaro che i paesi membri considerano i volumi prodotti come l’elemento più importante nell’ambito della prevenzione dei rifiuti, pertanto, le misure di prevenzione sono ancora prevalentemente quantitative; va comunque detto che i singoli paesi potrebbero avere adottato misure che affrontano l’eco-design o la presenza di sostanze pericolose in altri atti legislativi, come leggi per la gestione dei rifiuti pericolosi. Nel complesso, i paesi membri UE mostrano di puntare molto sugli strumenti informativi (42% di tutte le misure) ma fanno riferimento anche agli strumenti normativi e di mercato più rigorosi e vincolanti al fine di dare attuazione alla volontà chiaramente espressa dai responsabili politici di affrontare efficacemente la questione dei rifiuti in plastica nei mari e negli oceani così come sulla terraferma.

Il report mette in evidenza anche il principale limite delle politiche di prevenzione attuali, ovvero il fatto che ancora non sono diffuse, in Europa, misure specifiche suddivise per target di prodotti plastici, che invece risulterebbe le più efficaci. Nel futuro è auspicabile che le misure per la prevenzione dei rifiuti in plastica divengano più stringenti, e soprattutto siano “targhettizzate”, ovvero tengano conto di specifiche tipologie di plastiche o specifici usi, in particolare, bisognerà puntare l’attenzione soprattutto sui prodotti in plastica usa e getta e sulle plastiche non riciclabili.
Risulta altresì necessario affiancare altri elementi, quali la responsabilità del produttore, gli acquisti verdi, la consapevolezza da parte dei cittadini, l’ecodesign ed alcuni strumenti finanziari, come indicato anche nella strategia europea sulla plastica monouso e l’economia circolare, che ornirà uno stimolo ad inserire nei propri programmi nazionali di prevenzione dei rifiuti aspetti più specifici come quello della riduzione dei rifiuti plastici.

Il report ci ricorda che la produzione di plastica ha un costo ambientale, nel 2012, il contributo all’inquinamento atmosferico, conseguente alla produzione di plastica e al suo incenerimento, è stato pari a 400 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, pari alle emissioni prodotte dalla Polonia nello stesso anno. Proprio per questo l’EEA ha raccolto una serie di migliori pratiche adottate dai singoli paesi membri UE per contenere questo problema.
A questo si aggiunge l’inquinamento dei fiumi e dei mari, dove son sempre più presenti sia rifiuti plastici che frammenti, che creano grossi problemi alla biodiversità marina. Questo problema molto sentito lo scorso anno, quest’anno è un pò meno al centro dell’attenzione, anche se non mancano le iniziative, come il film, “68.415“, ideato da Antonella Sabatino e Stefano Blasi, due giovani registi e filmmaker, che ci ricordano di fare la raccolta differenziata e non abbandonare mai prodotti plastici soprattutto usa e getta in plastica, se vogliamo dire addio, una volta per tutte, alla plastica monouso.

12 Settembre 2020 - da Gambero Rosso (articolo di Livia Montagnoli)

Orti Urbani, a Roma è scontro. Non piace il nuovo regolamento imposto dal Comune (cura di Livia Montagnoli (gambero Rosso)

NELLA CAPITALE GLI ORTI URBANI GESTITI DA ASSOCIAZIONI DI CITTADINI E CENSITI UFFICIALMENTE SONO CIRCA 150, E HANNO IL MERITO DI MANUTENERE AREE VERDI PRIMA ABBANDONATE ALL’INCURIA. ORA IL CAMPIDOGLIO IMPONE IL PAGAMENTO DI UN CANONE DI LOCAZIONE E UN NUOVO REGOLAMENTO. ECCO PERCHÉ NON PIACE AGLI ORTISTI.

Gli orti urbani e la tutela del bene comune
Si fa presto a dire orti urbani invocando la partecipazione popolare e auspicando il coinvolgimento delle comunità di quartiere. Nelle grandi capitali del mondo, e d’Italia, il fenomeno dell’orticoltura urbana ha preso piede negli ultimi vent’anni con l’idea di riconquistare spazi di dialogo tra la campagna e la città, stimolando al contempo l’impegno civico, finalizzato a valorizzare il bene comune e a generare inclusione (e la pandemia ha dato nuove occasioni per confermare la bontà della missione, ne è esempio la città di Nantes). Per questo sono sempre più numerose le associazioni di cittadini che si mobilitano per recuperare terreni abbandonati o degradati, che la coltivazione di un orto sottrae all’incuria e trasforma in centri di ritrovata socialità. In una città come Roma, che è il più grande comune agricolo d’Europa, l’urbanizzazione compulsiva non è comunque riuscita a cancellare gli ampi spazi agresti che coesistono con l’edilizia delle periferie ( e molte sono pure le aziende agricole “professionali” che operano in città o nelle immediate vicinanze), e la pratica degli orti urbani si è consolidata attraverso l’azione di molteplici associazioni (diverse hanno dato vita di recente all’iniziativa Zappata Romana), che ora sono sul piede di guerra.

Gli orti urbani di Roma
Il provvedimento della discordia è in procinto di essere varato in Campidoglio per sancire le nuove norme di gestione degli orti urbani in città. Inviato ai singoli Municipi per conoscenza, prima di procedere col voto in aula, il testo fa discutere soprattutto per la volontà di richiedere un canone di locazione agli ortisti, chiedendo di fatto il pagamento di una concessione su terreni che nella maggior parte dei casi sono stati ricavati da situazione di forte degrado. Per questo le associazioni insorgono: la manutenzione di questi spazi pubblici sottratti all’abbandono (oggi se ne contano 150 in tutta la città, e molti hanno reso nuovamente fruibili aree verdi altrimenti infrequentabili), spiegano, è stata finora completamente a carico degli ortisti, secondo un codice etico che ogni comunità si ripromette di rispettare.

Il nuovo regolamento per gli orti di Roma
Il nuovo regolamento, invece, oltre a imporre il versamento di una quota d’affitto, vorrebbe arrogare al Comune la pretesa di individuare le aree da coltivare e imporre norme di manutenzione dello spazio molto rigide, e stabilite dall’alto. Dietro alla protesta, dunque, non c’è solo la preoccupazione per le nuove spese da affrontare, ma una presa di posizione contro quello che viene letto come un tentativo di snaturare la filosofia dell’orto urbano, che nasce dal basso e si autoregolamenta in virtù del bene comune. Attualmente, nella Capitale, la regolamentazioni degli orti urbani è demandata a una delibera del 2015, cui la giunta Raggi aveva già messo mano alla fine del 2018, apportando una serie di modifiche. Il nuovo provvedimento, invece, andrebbe a revocare il precedente regolamento, partendo però da un iter che, a detta del presidente dell’VIII municipio Amedeo Ciaccheri – tra i più agguerriti detrattori del testo, nel municipio che vanta in commissione ambiente l’ex portavoce degli ortisti capitolini, Luigi di Paola – pecca per metodo e sostanza. In primis, argomenta Ciaccheri, perché nessuno, dal Campidoglio, ha chiesto un confronto con le parti interessate, per comprendere a pieno la materia: le associazioni non sono state consultate, mentre ai Municipi sono stati dati venti giorni di tempo per proporre modifiche, a partire però dallo scorso 8 agosto, in un periodo decisamente poco indicato per indire tavoli di lavoro. E negli esiti, perché “mentre il vecchio regolamento lasciava alle associazioni il compito delicato di attivare un processo di comunità per realizzare gli orti, ora invece si prevede che nascano su impulso del Comune, che stabilisce quali aree utilizzare e in che modo”.

Affitto e regole di assegnazione
A difendere il regolamento è l’Assessore alle Politiche del verde Laura Fiorini: “Si tratta di un canone simbolico di 50 euro l’anno per due ettari, solo per rispetto della normativa sulle concessioni. E da questi possono detrarre le spese. Lo strumento del comodato, precedentemente previsto, non valorizzava il fenomeno, essendo un istituto puramente privatistico equivalente ad un prestito temporaneo e precario”. Per quel che riguarda la mortificazione della libera iniziativa (e su questo punto, indubbiamente, c’è da migliorare l’approccio: basti pensare, in senso diametralmente opposto, al vademecum per la realizzazione degli orti scolastici appena varato dal Comune di Milano), invece, l’assessore puntualizza la buona fede del Comune: “La disciplina sulla scelta dei terreni da parte degli ortisti è rimasta identica. Abbiamo aggiunto solo un articolo in cui il Comune si riserva in più la possibilità di mettere a bando dei terreni scelti dall’amministrazione, anche per diffondere questa pratica in tutta la città”. Nello specifico, il nuovo regolamento prevede una differenziazione tra orti e giardini urbani, in base alla destinazione d’uso e all’estensione del terreno; in funzione della tipologia, la concessioni variano dai due ai sei anni, e potranno essere rinnovate una sola volta. Terminata l’assegnazione, i terreni dovranno essere riconsegnati “liberi da manufatti entro tre mesi dalla fine del ciclo vitale delle coltivazioni”. Per aggiudicarsi la concessione, invece, sarà dirimente la prossimità dei richiedenti: chi abita a meno di un chilometro dall’area potrà ottenere il massimo del punteggio, e anche l’età giocherà a favore degli under 40, premiati con punti in più.

a cura di Livia Montagnoli

24 Agosto 2020 - da Roma Today (articolo di Fabio Grilli) 

Orti urbani e giardini: la Giunta ha preparato il nuovo regolamento di Fabio Grilli

La Giunta Raggi, ad inizio agosto, ha dato il proprio via libera ad un nuovo regolamento per la concessione degli spazi verdi di proprietà comunale. Servirà a stabilire quali sono i criteri di assegnazione di aree destinate a diventare giardini ed orti urbani.
L'iter amministrativo
Il procedimento, passato in Giunta l’8 agosto, è stato trasmesso ai 15 municipi di Roma Capitale per consentire l'espressione del relativo parere. Dovranno farlo in tempi rapidi, “entro il termine di 20 giorni” dalla sua ricezione. A quel punto, entro la fine di agosto, il testo sarà pronto per essere votato in Assemblea Capitolina.
L'obiettivo del regolamento
Con la nuova delibera, che va a sostituire quella mai entrata in vigore del 2019, l’amministrazione cittadina “intende fornire una regolamentazione del fenomeno degli orti giardini urbani che da una parte tenga conto delle legittime istanze dei cittadini di poter effettuare delle attività fisiche e sociali” si legge nel dispositivo “ e dall’altra che consenta di coniugare tali istanze con l’opportunità di incentivare iniziative che conducano ad una riqualificazione ed al recupero del patrimonio ambientale capitolino”.
Il Comune agricolo e gli orti urbani
Roma è il più grande comune agricolo d’Europa. Dei suoi 128mila ettari di superficie infatti ben il 45% è destinato ad uso rurale. Un primato che va gestito anche alla luce dei numerosi orti urbani che, soprattutto negli ultimi 10 anni, sono stati realizzati nel tessuto cittadino. E che dimostrano una crescente attenzione da parte dei romani verso questo tipo di opportunità. Talvolta messa in pratica in maniera del tutto spontanea.
Cosa prevede il regolamento
Le migliaia di lotti che da nord a sud sono stati coltivati, rappresentano una ricchezza. Ma anche un onere per l’amministrazione che ha deciso di formulare nuove regole per riuscire a gestirli. Il Campidoglio ha perciò differenziato orti e giardini urbani in ragione della loro estensione e della loro destinazione. In tal modo ha previsto concessioni che variano dai due ai sei anni. In ogni evenienza, comunque, potranno essere rinnovate una sola volta, previa richiesta da parte del soggetto che ne aveva la concessione. Le aree invece, una volta terminata l’assegnazione, vanno riconsegnate “libere da ogni manufatto entro tre mesi decorrenti dalla fine del ciclo vitale delle coltivazioni”.
Per quanto riguarda i criteri di assegnazione di queste aree verdi, il Comune ha deciso di valorizzare soprattutto la prossimità spaziale dei richiedenti che, se abitano a meno di un chilometro dal futuro orto urbano, possono conseguire fino a 25 punti. Con un incentivo di 15 punti, il Comune ha invece deciso di incoraggiare anche i giovani sotto i 40 anni a prendersi cura di queste aree verdi.
La contestazione
Il nuovo testo che regolamenta gli orti urbani a Roma ha già incassato le prime obiezioni. Secondo Luigi di Paola, per anni tra i portavoce degli ortisti capitolini ed attuale presidente della commissione Ambiente del Municipio VIII, il nuovo regolamento “ ha una forte impronta di controllo centralizzato e depotenzia il contributo di associazioni ed enti di prossimità”. A proposito di questi ultimi, l’idea di fargli produrre delle osservazioni entro soli 20 giorni, “che guarda caso – ha fatto notare Di Paola – rientrano proprio nel periodo di chiusura per ferie dei municipi”, appare singolare se, l’intenzione, era quella di coinvolgere i municipi stessi.

A breve, comunque, il regolamento sarà calendarizzato e discusso in Assemblea Capitolina. Il precedente, approvato nel 2015, era invece stato elaborato a seguito d’un confronto che, ha ribadito Di Paola, “per mesi aveva coinvolto cittadini ed associazioni”.



ORTO SINERGICO della Associazione di Promozione Sociale "RAPPORTI URBANI" (click qui per il link)
ORTOGUIDA in inglese/in english (scarica qui il PDF)
Università degli Studi di Perugia - LINEE GUIDA per la progettazione, l'allestimento e la gestione degli orti urbani e periurbani (click qui per il link)
BLOG dell'Orto Giardino di Aguzzano della Associazioen di Promozione Sociale "RAPPORTI URBANI" (click qui per il link)
9 Gennaio 2018 - da Comune Info (scarica il pdf)

QUEL COCKTAIL MICIDIALE... IL GLISOFATO di Navdanya International

La tossicità dei pesticidi non è data solo ed esclusivamente dai principi attivi dichiarati dalle aziende ma anche dai coformulanti, tenuti spesso nascosti o non dichiarati in fase di autorizzazione e commercializzazione. A lanciare l’allarme il professor Gilles-Eric Séralini dell’Università francese di Caen che ha, pubblicato sulla rivista scientifica Toxicology reports, il suo ultimo studio in cui si dimostra che gli erbicidi a base di glifosato contengono metalli pesanti, come l’arsenico. Si tratta di coformulanti che non vengono dichiarati o dichiarati “inerti” e coperti da segreto industriale dalle aziende produttrici, nonostante la loro comprovata tossicità: testati su cellule umane, i coformulanti, composti da residui del petrolio, risultano avere un effetto molto dannoso in quanto si comportano da interferenti endocrini.

Lo studio del professor Seralini conferma quanto già denunciato da Navdanya e da molte organizzazioni della società civile al recente tribunale Monsanto e in successive occasioni: i processi di regolamentazione sono tutt’altro che trasparenti e democratici, le grandi aziende dell’agribusiness hanno la possibilità e la capacità di intervenire nei processi decisionali della politica e degli enti deputati al controllo. Conseguentemente, i rischi per la salute dei consumatori e dei lavoratori sono altissimi. Proprio in occasione del tribunale Monsanto, Navdanya International aveva realizzato un’intervista con il professor Seralini in cui si anticipavano i risultati dello studio ora pubblicato.

Il glifosato fu brevettato come erbicida presso le autorità competenti dalla Monsanto Company nel 1974. Gli erbicidi in commercio non contengono mai esclusivamente glifosato che viene miscelato insieme ad altre sostanze chimiche nei prodotti commerciali. Gli erbicidi a base di glifosato sono i più utilizzati nel mondo e, in particolare dal 1995, i più utilizzati nelle colture ogm. Gli ogm come il mais e la soia, sono coltivazioni transgeniche destinate anche all’alimentazione umana ed animale. La maggior parte di queste colture vengono modificate geneticamente per tollerare erbicidi a base di glifosato come il RoundUp (l’erbicida prodotto dalla Monsanto), per cui, alti livelli di residui di glifosato ed altri componenti entrano nella catena alimentare . Gilles-Eric Séralini ha detto: “Richiediamo che le formule dei pesticidi vengano immediatamente rese pubbliche, insieme a qualsiasi test sanitario sia stato fatto su di essi. I livelli “accettabili” di residui di glifosato in alimenti e bevande dovrebbero essere immediatamente divisi per un fattore di almeno mille volte, a causa dei veleni nascosti in questi preparati chimici. Gli erbicidi a base di glifosato dovrebbero essere vietati”. Vandana Shiva, scienziata e ambientalista, ha dichiarato: “Il dottor Gilles-Eric Seralini è stato il primo scienziato a fare uno studio approfondito della durata di due anni sul glifosato e sugli Ogm, mostrando l’impatto su organi vitali come reni e denunciando la cancerogenicità di questi agrotossici. La Monsanto ha ripetutamente attaccato Seralini come confermato dalle rivelazioni contenute nei Monsanto Papers. I procedimenti legali hanno stabilito le alte credenziali del dottor Seralini come scienziato indipendente e le frodi scientifiche perpetrate dalla Monsanto. Seralini ha presentato nuove scoperte che forniscono prove scientifiche che i coformulanti all’interno degli erbicidi contengono metalli pesanti tossici come l’arsenico”. Fonte: Navdanyainternational.it

DA LEGGERE:
Sul glifosato la battaglia inizia ora di Ruchi Shroff 
I complici europei del glifosato di Ruchi Shroff 
Sfida all’esibizione del potere tossico di Vandana Shiva 
Che vuoi che sia un po’ di glifosato di Patrizia Gentilini 
Mamma mia, il glifosato. Veleni nel piatto di Milena L.V. Molozzu 
La primavera libera dai pesticidi di Simona Savino 
L’Europa avvelenata dai pesticidi di R.S.

28 Dicembre 2017 - da Comune Info (scarica il pdf

IL PANE NON E' UNA MERCE...PANIFICARE IL FUTURO di Domenico Dalba

Domenica, ore 10, sole ammiccante che invita allo struscio sul corso, dominato dalla gigantesca statua di Eraclio, dove emise i primi vagiti e combinò le prime impertinenze, il pittore impressionista Giuseppe De Nittis. Un corteo di macchine, sbuffanti per le centinaia di chilometri percorse, imbocca la bretella della Statale 16 bis e plana, dopo la Caserma dei Vigili del Fuoco, davanti al panificio “Il Fornaio dei Mulini Vecchi” nella zona industriale di Barletta. Ne scende un nutrito gruppo di panificatori, provenienti dall’Abruzzo, dalla Campania e dalla Calabria. Volti sinceri, radiosi ed allegri, nelle cui rughe si nascondono le fatiche di una penosa vita di sacrifici e le profonde inquietudini per il futuro dell’azienda, dei consumatori, della propria persona, delle mogli e dei figli.
Va loro incontro festoso, a braccia spalancate con la spalla e la testa leggermente arretrate, Vincenzo Paolillo, viso bonario dall’immancabile velo di barba tendente al bianco che gli conferisce più anni di quelli che la sua carta di identità realmente segna. Non si contano abbracci, baci, pacche sulle spalle, battute a tutto spiano. Un’atmosfera di cordialità che riscalda i cuori di chi tiene in grande considerazione il valore dell’empatia e dell’ascolto attivo tra le persone.

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A guidare la pacifica calata degli ospiti, è Vinceslao Ruccolo, proveniente dalle montagne dell’Abruzzo, vicepresidente Nazionale di Fiesa (Federazione Italiana Esercenti Specialisti dell’Alimentazione), che fa parte della Confesercenti. Da tanto tempo è alle prese con gli impasti, le lievitazioni e le infornate, dall’epoca in cui indossava calzoncini corti. Più di quaranta anni di tenace e faticoso lavoro gravano ora sulla sua groppa, che ne evidenzia alcuni di più, nonostante la sua bella presenza fisica e la simpatia che trasmette.
Tra l’abruzzese e il barlettano la scintilla dell’amicizia sincera era scoccata una ventina di anni fa in un convegno di categoria tenutosi a Bari. Da allora, i due si sono sentiti e confrontati a più riprese in incontri professionali, in occasioni conviviali, e il sodalizio amicale si è consolidato.
Vinceslao apprezza la professionalità di Vincenzo, acquisita presso l’Accademia della Panificazione di Verona e nell’esercizio trentennale. Ne ammira la generosità, testimoniata dai volti grati e sorridenti dei tanti che vanno a bussare alla porta del suo cuore. Rimane stupito della feconda attività artistica delle sue mani, dalle quali scaturiscono statue, realizzate con pasta ottenuta mescolando acqua, farina e lievito. Loda ai quattro venti l’ingegnosità e la lungimiranza imprenditoriale.
Da alcuni anni Vincenzo Paolillo si è dotato di un mulino a pietra, che gli permette di ottenere farine, fresche di giornata, capaci di generare pane, taralli, biscotti e pasta di alto livello nutrizionale, salutistico ed organolettico. Ad alimentarlo sua maestà, il sole. Nei mulini a cilindri metallici, la parte vitale del grano, il germe, ricco di enzimi, sali minerali e vitamine viene sacrificato. Immondamente. Di conseguenza, le farine risultano depauperate delle loro vitali proprietà e delle caratteristiche organolettiche, colore, sapore, profumo, tocco, digeribilità.

Il grano viene acquistato direttamente dai piccoli produttori del territorio. Che amano la terra degli avi e se ne prendono cura, valorizzandola, per donarla ai figli. Partendo dalla convinzione dei Pellirosse americani che sulla Terra siamo solo inquilini. I contraenti, galantuomini, generano con una semplice stretta di mano un patto economico ed etico che mette al centro dei propri orizzonti, la salute dei consumatori… la legalità, il lavoro dignitoso, il consumo consapevole, la solidarietà, il rispetto e valorizzazione dell’ambiente e garantisce congiuntamente un’equa remunerazione. Perché i valori non sono merci. Si intravede, perciò, in forme pacate, in questa civile e lungimirante operazione, l’insubordinazione al ritmo, al conflitto ed all’ingordigia della disumanizzante competizione neoliberista mirante esclusivamente al mero profitto.

“Per noi, l’iniziativa imprenditoriale di Vincenzo Paolillo è un modello artigianale da esportare nelle proprie regioni ed in tutto il resto dell’Italia – dice il semplice e brillante Vinceslao – Siamo gente laboriosa ed umile, e non nutriamo sentimenti di gelosia, anzi siamo orgogliosi che il collega abbia aperto una prospettiva imprenditoriale nuova”. Aggiunge Vinceslao: “La Fiesa Confesercenti, ha aperto un tavolo di trattative con il governo per inserire la panificazione tra le attività usuranti. Perché? D’estate gli operatori crepano per il caldo che si genera all’interno del laboratorio ed all’aria aperta. D’inverno, il corpo viene stressato dal netto contrasto tra la temperatura dell’ambiente di lavoro e quella esterna. L’umidità e lo sfarfallio di farina penalizzano pesantemente la salute. Infine, alterato il ciclo sonno-veglia, per l’atavica tradizione di lavorare durante la notte, l’orologio biologico interno ne risente e si scatenano sfracelli nella fisiologia, nella psiche e nel comportamento”.

Pausa confortevole sotto il bellissimo gazebo dalle massicce panche di legno che invitano ad accomodarsi e a inebriarsi della fragranza agrumata di arance, mandarini e pompelmi. Abbandonando l’alienante e delirante fren esia quotidiana. Riprende a parlare, il gentile orso d’Abruzzo: “Dall’infanzia i bambini devono essere educati a seguire una dieta corretta e bilanciata, assumendo prodotti nutrienti, gustosi e genuini. A casa ed a scuola. Perciò, è intento della Fiesa proporre al governo l’inserimento della tematica dell’alimentazione nei programmi scolastici”. Insomma, basta con l’obesità che affligge tre milioni di cittadini! Stop al sovrappeso, che mina la salute di sette milioni di consumatori. Alt alle malattie metaboliche, impennan
tesi paurosamente. Una boccata di ossigeno per il sistema sanitario nazionale!

Molte perplessità vengono manifestate nei confronti del Ceta, la diabolica intesa commerciale tra l’UE e il Canada. Che autorizza a introdurre in Italia grano abbeverato di agrotossici e seccato con il glifosato, pericoloso erbicida responsabile del cancro. Che danneggia l’economia del territorio. Che favorisce, per il basso prezzo, le grandi industrie molitorie e quelle della pasta.
Esistono, conclude Vinceslao, grani antichi ed autoctoni, come il farro, l’avena, l’orzo, le varietà di frumento “senatore Cappelli”, “Saragolla” e tanti altri. Che lussureggiano nelle nostre contrade. Che non hanno bisogno di trasporti transoceanici. Che danno lavoro ai meravigliosi “cafoni” del Sud. Che vanno apprezzati per la loro genuinità e sapore. A loro devono andare tutte le nostre tutele, preferenze ed attenzioni! Perché il pane non è una merce. Un passo per cambiare l’ordine delle cose.

28 Dicembre 2017 - da Comune Info (scarica il pdf

ORTI IN CITTA', STORIE PER IL FUTURO di Piero Bevilacqua

Strano a dirsi, gli orti sono stati probabilmente la prima forma urbana di produzione della storia umana. Per sopravvivere, gli abitanti delle città avevano bisogno di una alimentazione quotidiana che solo il cibo prodotto dentro o attorno alle mura poteva fornire. Fresco e a portata di mano. Ogni giorno la terra doveva dare da mangiare a una parte crescente di popolazione che si occupava di altro e non produceva alimenti. Perciò, contrariamente a quel che comunemente si crede, l’orto è la più «innaturale» forma di attività agricola, la più lontana dai cicli biologici spontanei delle piante. Nell’orto, legumi, tuberi, ortaggi, cereali, ecc. vengono piantati e ripiantati senza interruzione a ogni stagione come di sicuro non accade in natura. Una forzatura tecnica al cui successo si deve gran parte della sopravvivenza della specie umana sulla terra e certamente il sorgere delle civiltà antiche. In che cosa è consistita la forzatura tecnica? Almeno in due componenti, frutto dell’umana genialità. La prima è stata la continua fertilizzazione della terra, resa necessaria dall’intenso sfruttamento produttivo a cui viene sottoposto il suolo. La seconda è stata ed è tuttora, l’avvicendamento delle piante nello spazio dell’orto, così da variare il tipo di minerali e di sostanze nutritive sottratte al terreno e nello stesso tempo per utilizzare i lasciti utili (ad esempio l’azoto delle leguminose) delle precedenti coltivazioni.

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Avvicendamenti e rotazioni sono stati a lungo, prima dell’avvento dei pesticidi chimici, i mezzi con cui la sapienza contadina difendeva le colture dall’aggressione degli insetti e dalle malattie. Ora è stata proprio la prossimità dell’orto alla città a rendere possibile la continua rigenerazione della fertilità dei suoli. Che i rifiuti urbani e soprattutto le deiezioni animali fossero materia preziosa per ridare vigore produttivo alla terra era già noto nel mondo antico. Nel celebre passo dell’Odissea (C.XVII) in cui Ulisse, appena sbarcato a Itaca, rivede il suo vecchio cane Argo, si legge «ora giaceva là, trascurato, partito il padrone/su molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte/ammucchiavano, perché poi lo portassero/ i servi a concimare il grande terreno di Odisseo». Si faceva dunque gran cura del letame, che, raccolto dalle strade, veniva ammassato fuori le mura.

Tale rapporto di reciproco vantaggio, tra la città che riceve il cibo per nutrire i suoi abitanti e restituisce gli scarti per fertilizzare e riprendere i ciclo produttivo, è stato, per millenni, il modello vincente in ogni angolo del mondo. In Oriente come in Occidente. È durato fino a metà del XX secolo e in alcune aree dei paesi poveri perdura ancora. Oggi il suo millenario successo è una lezione imperdibile per il nostro tempo. L’orto è una forma di produzione altamente intensiva per unità di superficie, che surclassa quello delle monoculture industriali, dunque un modello economicamente vincente di fronte alla sfida della crescita della popolazione. Nello stesso tempo esso contiene il paradigma della rigenerazione continua e dell’economia circolare. Si prende dalla terra e ad essa si ridona, perché non si esaurisca la sua fertilità, in un rapporto di solidale cooperazione con le fonti primigenie della vita. Una lezione etica che viene dal remoto passato, la più decisiva per vincere le sfide dell’avvenire.
Pubblicato su il Gambero verde, suppl. a il manifesto del 21 dicembre 2017 e su Officinadeisaperi.it (con il titolo originale completo Orti in città. Un paradigma per l’avvenire che viene da lontano).

26 Dicembre 2017 - da Comune Info (scarica il pdf)

DOPO GLI OGM CI NUTRIRANNO I BIG DATA di  Vandana Shiva*

Negli anni Novanta ci dicevano che gli Ogm avrebbero assicurato la crescita di cibo ovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici. Oggi sono rimaste solo due applicazioni degli Ogm, la resistenza agli erbicidi e le colture Bt, ma le multinazionali non smettono di imporre le proprie ricette. Un completo fallimento costato miliardi e veleni. Intanto sono ancora i piccoli contadini a produrre il 70 per cento del cibo globale. L’ultima notizia delle multinazionali è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale» e prefigura un’agricoltura senza contadini. In realtà, spiega Vandana Shiva, l’unica strada resta quella del “rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana”

In materia di cibo e agricoltura, il futuro può prendere due strade opposte. Una porta a un pianeta morto: spargimento di veleni e diffusione di monocolture chimiche; indebitamento per l’acquisto di sementi e fitofarmaci, causa di suicidi di massa fra gli agricoltori; bambini che muoiono per mancanza di cibo; aumento delle malattie croniche e dei decessi dovuti alle carenze nutrizionali e alle sostanze avvelenate vendute come cibo; devastazione climatica che mina le condizioni stesse della vita sulla Terra. La seconda strada è quella del rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana.

La prima strada è quella industriale, ed è stata tracciata dal cartello dei veleni. Dopo le due guerre mondiali, le compagnie trasformarono le loro armi chimiche in sostanze agrochimiche, come pesticidi e fertilizzanti. E convinsero il mondo che senza questi veleni non era possibile ottenere raccolti e produrre cibo.
Nel 1990 ci dicevano che gli Ogm avrebbero annullato tutti i limiti imposti dall’ambiente, permettendo la crescita di cibo dovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici. Oggi ci sono solo due applicazioni degli Ogm: la resistenza agli erbicidi e le colture Bt. La prima applicazione è stata decantata come metodo per il controllo delle erbe infestanti – in realtà ne ha create di super resistenti; quanto alle colture Bt, si supponeva che sarebbero riuscite a tenere a bada i parassiti, quando in realtà ne hanno sviluppati di super-resistenti.
L’ultima grande notizia è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale». Prefigura anche un’agricoltura senza agricoltori. Non sorprende che l’epidemia di suicidi fra i contadini indiani e in generale la crisi degli agricoltori in tutto il mondo non abbiano suscitato le dovute risposte da parte dei governi: questi ultimi sono così tenacemente e ciecamente intenti a costruire il prossimo tratto dell’autostrada verso la morte da ignorare l’intelligenza dei semi viventi, delle piante, degli organismi del suolo, dei batteri del nostro intestino, dei contadini e delle montagne di esperienza e saggezza costruite nei millenni. I piccoli contadini producono il 70 per cento del cibo globale usando il 30 per cento delle risorse totali destinate all’agricoltura. L’agricoltura industriale invece usa il 70 per cento delle risorse, generando il 40 per cento delle emissioni di gas serra, per produrre il 30 per cento soltanto del cibo che mangiamo. Climate Corporation, la più grande compagnia al mondo per i dati sul clima, e Solum

Inc., la più grande compagnia al mondo per i dati sul suolo, sono oggi di proprietà di Monsanto. Queste due compagnie vendono solo dati. Ma i dati non sono conoscenza. Sono solo un’altra merce destinata a rendere l’agricoltore ancora più dipendente. Non possiamo affrontare i cambiamenti climatici e le loro reali ed effettive conseguenze senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industrializzato e globalizzato, che genera fino al 40 per cento delle emissioni di gas climalteranti a causa dei seguenti fattori: deforestazione, allevamenti intensivi, imballaggi per alimentari in plastica e alluminio, trasporti su lunghe distanze e spreco di cibo.

Non possiamo risolvere i cambiamenti climatici senza l’agricoltura ecologica e su piccola scala, basata sulla biodiversità, sui semi viventi, sui suoli vitali e sui sistemi alimentari locali, riducendo al minimo i trasporti di derrate alimentari ed eliminando gli imballaggi in plastica.

22 Dicembre 2017 - da Comune Info (scarica il pdf)

LE POZZANGHERE, I CACHI E LA MANGIATOIA di Sandra Cangemi*

Con l’inizio dell’autunno è arrivata anche un po’ di pioggia e noi ne abbiamo approfittato per sguazzare nelle pozzanghere: che divertimento! Ci piace moltissimo stare all’aria aperta: andiamo nell’orto, manipoliamo la terra, ci arrampichiamo sugli alberi. Quando finiamo di giocare siamo tutti imbrattati di fango e le nostre educatrici, pazientemente, ci cambiano da capo a piedi.
A novembre abbiamo fatto lunghe passeggiate fino al bosco, dove abbiamo osservato le foglie cadute dagli alberi, di tanti colori e forme differenti. Usando fogli e pastelli a cera abbiamo ricalcato le cortecce. Abbiamo osservato le tane e le cacche dei conigli, ascoltato i canti degli uccelli e il frusciare delle foglie. Sdraiati per terra, abbiamo osservato il cielo azzurro e i rami degli alberi che si protendono verso l’alto alla ricerca della luce: che meraviglia la natura! Nel bosco c’è tantissimo da imparare, ci torneremo spesso .

Abbiamo continuato a esplorare anche il frutteto, dove abbiamo raccolto alcuni frutti che maturano in autunno, come i cachi. Nelle belle giornate abbiamo osservato in lontananza il volo delle api, che approfittano delle ore più calde per uscire dall’alveare e fare un giro alla ricerca degli ultimi fiori. Chissà come fanno le api a produrre il miele… magari la prossima primavera, con l’aiuto delle nostre educatrici, riusciremo a scoprirlo.

Ad un certo punto le temperature sono scese bruscamente e così, arrivando in cascina, abbiamo trovato che tutto era ricoperto di bianco: è la brina, che rende incantato il paesaggio intorno a noi. Le nostre asinelle e la cavalla Pippi si difendono dal freddo grazie all’allungamento del pelo e ora sono ancora più morbide da accarezzare. Dato che l’erba al pascolo non è più abbondante, come in estate, diamo loro anche il fieno, così che possano affrontare la stagione fredda nel migliore dei modi.

Ma come fanno gli animali selvatici a sopravvivere al gelido inverno? Per dare una mano agli uccellini abbiamo costruito una mangiatoia in legno che abbiamo prima verniciato e poi assemblato con le viti. Però, non sapendo cosa dar da mangiare agli uccelli, ci siamo fatti consigliare dal pettirosso Rossino, che è diventato subito nostro amico. Rossino ci ha spiegato che in inverno non ci sono tanti insetti, di cui lui è ghiotto, ma se vogliamo aiutarlo e dare un po’ di pappa anche agli altri uccellini, possiamo preparare palline fatte di margarina, semi vari, pezzetti di mela e briciole di panettone. E così, insieme ai bimbi della scuola in fattoria, abbiamo fatto questo bell’impasto e poi l’abbiamo messo nella mangiatoia e anche in alcune reticelle che abbiamo appeso ai rami degli alberi, così che gli uccelli possano trovare un po’ di cibo in giro per la cascina. Abbiamo preparato anche delle collanine di arachidi, perché le cinciallegre e le cinciarelle sono capaci di romperne il guscio per mangiarne il contenuto: buon appetito a tutti!

*Agriasilo della cooperativa sociale "Praticare il futuro" della Cascina Santa Brera Grande (San Giuliano Milanese)
19 Dicembre 2017 - da Comune info (scarica il pdf)

I DONI DEI PARCHI E DELLE FORESTE URBANE E I SERVIZI ECOSISTEMICI

A Roma, Parco Regionale Urbano di Aguzzano: è in corso il primo studio approfondito sui servizi ecosistemici. In questo pezzo della città i cittadini e le associazioni studiano le risorse naturali e i beni comuni per dimostrare come la tutela dei parchi e delle aree verdi cittadine è una risorsa per ridurre l’inquinamento e migliorare la salute pubblica, ma anche un modo per ricostruire legami sociali e con l’ambiente naturale

L’associazione Casale Podere Rosa ha avviato a Roma il primo studio volto a calcolare i servizi ecosistemici che il Parco Regionale Urbano di Aguzzano rende alla comunità cittadina. I servizi ecosistemici che i parchi e le “foreste urbane” possono fornire sono infatti molteplici e spesso sottovalutati: mitigazione dell’effetto “isola di calore” delle grandi città, isolamento termico a beneficio degli edifici prossimi alle aree verdi con conseguente riduzione delle spese di riscaldamento e raffrescamento, isolamento acustico, assorbimento delle acque meteoriche e decongestione delle reti fognarie, fitodepurazione delle acque superficiali, effetto barriera contro gli eventi atmosferici anomali, protezione del suolo dai fenomeni di inaridimento ed erosione, conservazione della biodiversità animale e vegetale, sequestro e stoccaggio del carbonio, abbattimento dei principali inquinanti atmosferici.

Il progetto condotto insieme ad un gruppo di cittadini volontari (“citizen science project”), autoprodotto e autofinanziato dall’associazione Casale Podere Rosa, ha preso le mosse con una campagna di censimento della copertura arborea e arbustiva del parco condotta nella primavera-estate 2017. I dati raccolti vengono analizzati utilizzando il modello matematico UFORE – Urban Forest Effects attraverso il software ad accesso libero i-TreeEco sviluppato dall’USDA Forest Service.

Nel corso della primavera 2018 verrà rilasciato il primo report dettagliato su composizione e struttura del parco, servizi ecosistemici e loro valore economico, ma già ora emergono alcuni dati interessanti: ogni anno il parco è in grado di abbattere circa 2,4 tonnellate di inquinanti atmosferici (O3, NO2, SO2 e CO e PM2,5) e di produrre 180 tonnellate di ossigeno. Inoltre l’effetto “carbon sink” cioè la quantità netta di carbonio sequestrata dalla vegetazione del parco ammonta a circa 67,5 tonnellate/anno.

Per informazioni: info@casalepodererosa.org, info@centrodiculturaecologica.it

15 Dicembre 2017 - da Carte in Regola (scarica il documento pdf)

IL REGOLAMENTO DEGLI ORTI URBANI DEVE ESSERE PARTE DEL SISTEMA DEL VERDE E DEL PAESAGGIO DELLA CITTA' di Paola Loche

Pubblichiamo una prima riflessione sul Regolamento degli Orti Urbani, promosso dalla delibera 38 del 2015 (1) e attualmente in corso di revisione da parte dalla nuova Amministrazione insieme a un tavolo di associazioni. Il gruppo verde di Carteinregola invierà a breve le sue osservazioni al tavolo e all’Assessora Montanari, chiedendo che il regolamento degli orti sia inserito, come accade in molte altre città che l’hanno adottato, in un più generale Regolamento del verde urbano, che da anni sollecitiamo, anche con tavoli di lavoro e proposte concrete. Rispettiamo e ammiriamo l’impegno delle tante realtà che con l’esperienza degli orti condivisi hanno avviato un importante opera di ricostruzione delle comunità e di rapporti sociali solidali, ma riteniamo che anche queste scelte debbano essere inserite in un sistema di regole – esistenti o da adottare – a tutela del comune patrimonio ambientale e del paesaggio, un bene comune di tutta la città e delle generazioni a venire.

Nella nuova bozza di “Regolamento per l’affidamento in comodato d’uso e la gestione di aree verdi di proprietà di Roma Capitale per la realizzazione di orti/giardini urbani” è assente una visione dell’intero sistema del verde e del paesaggio della città di cui gli orti, e dunque il “paesaggio orticolo”, sono una componente. E’ questa un’osservazione che da tempo facciamo nelle sedi di discussione sul verde urbano, a quanto pare senza alcun riscontro in considerazione del fatto che si sta portando avanti il progetto di approvazione del regolamento degli orti tralasciando da tempo, ormai immemorabile, l’approvazione del regolamento del verde e del paesaggio urbano.

Si ritiene prioritaria e inderogabile l’approvazione del Regolamento generale del verde e del paesaggio urbano, regolamento sovraordinato rispetto al regolamento sugli orti urbani, per evitare inconciliabilità nei confronti dei criteri generali di gestione e tutela del verde pubblico e privato. Così come si ritiene, inoltre, un assunto fondamentale l’individuazione delle aree destinabili ad orti urbani. Nella bozza di regolamento non sono indicati i criteri per la scelta dei siti adatti alla realizzazione di orti/ giardini, a parte la generica compatibilità con quanto previsto dal PRG, invece bisognerebbe ragionare in termini di compatibilità rispetto alla struttura della città e dunque rispetto al ruolo gerarchico degli spazi aperti urbani e quindi definita una mappatura delle aree destinabili all’uso orticolo.

Va tenuto presente che gli orti vanno insediati in aree periurbane poiché rappresentano un uso compatibile e paesaggisticamente coerente con la transizione graduale fra città e campagna, evitando sempre qualsiasi eventuale impatto paesaggistico. L’organizzazione planimetrica degli spazi, l’impianto e la parcellizzazione degli orti, andrebbero progettati in funzione del contesto orografico e dei caratteri storici e morfologici della struttura insediativa del sito. Inoltre tutti gli elementi costitutivi dei nuovi paesaggi orticoli (delimitazioni delle particelle, recinzioni, cancelli, casottini per il deposito di materiali, bagni, fontanelle e sistema d’irrigazione, strutture o spazi per il compost, punti per l’approvvigionamento dell’elettricità e dell’illuminazione, ove necessaria, ecc.) dovrebbero essere progettati con materiali coerenti fra di loro e nel rispetto del carattere e della connotazione formale del sito e dello spazio e del decoro generale. Infatti anche gli orti/giardino dovrebbero essere frutto di un progetto complessivo di paesaggio. In particolare nel contesto agro-urbano, l’orto giardino deve rappresentare una delle componenti identitarie del paesaggio della città, arginando i fenomeni di casuale assemblaggio di particelle e di materiali che contribuiscono al generale disordine e all’”incultura” della nostra città ormai senza regole e ambizioni qualitative.
Tutto questo dalla lettura della bozza di regolamento non traspare e preoccupa chi da sempre si batte per una cultura del rispetto dell’identità del paesaggio in tutte le sue componenti.

(1) vedi delibera DAC_38_17.7.2015 185a Proposta (Dec. G.C. del 17 ottobre 2014 n. 91)Regolamento per l’affidamento in comodato d’uso e per la gestione di aree a verde di proprietà di Roma Capitale compatibili con la destinazione a orti/giardini urbani. 
IMPRESSIONI…E AROMI DI SETTEMBRE
“Chi ha la salvia nell’orto ha la salute nel corpo ....”

Nota purificatrice, la Salvia (Salvia Officinalis) viene in aiuto nelle digestioni difficili. E’ in grado di curare il sistema nervoso, è antisettica e febbrifuga. Nell’uso esterno ha un effetto calmante ed emolliente, ma non è indicata per le donne che allattano. In fitoterapia se ne consiglia il rimedio a coloro che hanno bisogno di maggiore concentrazione.

Coltiviamola così: Facile da coltivare anche sul balcone, la salvia ha un solo grande nemico: il gelo. Bene quindi rimetterla in inverno e proteggerla nelle regioni a clima freddo. Ama le posizioni soleggiate, mentre teme i ristagni di acqua.

La semina: La salvia si moltiplica per seme o per talea, in posizione soleggiata. Si semina o si trapianta con la luna crescente ad aprile o a settembre concimando con compost e ricoprendo i semi con un leggero strato di terra. Coprire con la paglia nel suo primo inverno di vita. In vaso concimare una volta al mese e annaffiare con regolarità. Il trapianto si effettua con le piantine ottenute per talea, tagliando dalla pianta madre una porzione di circa 10 centimetri di ramo preso dai nuovi getti. Si mettono a radicare nei vasetti per poi trapiantarle a fine primavera o fine autunno.

Raccolta e conservazione: Le foglie fresche si raccolgono tutto l’anno con luna crescente per il consumo fresco, con luna calante invece quelle da essiccare, prima della fioritura. Si seccano sospese in mazzetti o ghirlande o distese su graticci, all’asciutto e all’ombra. Si conservano in sacchetti di carta o tela. Vale anche per i fiorellini raccolti da maggio ad agosto.

TELA e GRAMIGNA - ACQUERELLI  BOTANICI e PITTURE SU STOFFE D'EPOCA (locandina)

Ci è gradito segnalare la pagina facebook www.facebook.com/telaegramigna gestita dalla nostra ortolana Silvana Potente (orto individuale C28) in cui propone i suoi "Acquerelli Botanici" e le opere di"Pittura Spontanea" su stoffe d'epoca con motivi botanici e floreali.

Chiunque voglia mettersi in contatto con Silvana il suo recapito è 338.1873385

RAPPORTI URBANI
22 Maggio 2017 - da Rapporti Urbani

L'ORTO URBANO DI AGUZZANO OSPITA LE SCOLARESCHE DELL'ISTITUTO COMPRENSIVO "G.FALCONE" DI PIAZZA GOLA

Nella mattinata del 22 Maggio 2015, nella splendida cornice del Parco di Aguzzano, una nutrita e colorita scolaresca del vicino Istitituto Comprensivo "G.Falcone" di Piazza Gola ha fatto visita all'Orto Urbano di Aguzzano. La scolaresca è stata accolta dal nostro Presidente Sandro Teodori che ha illustrato ai fanciulli (e speriamo futuri ortolani...) il valore della difesa del territorio dalle invadenze cementificatorie e di quanto sia importante rivalorizzare la cultura e coltura contadina partendo da queste piccole e importanti esperienze come l'Orto Urbano di Aguzzano. Sandro hai poi girovagato con i piccoli amici all'interno dell'orto spiegando loro quali tipi di colture sono state adottate all'interno dell'orto dai singoli ortolani e come è stato strutturato l'orto stesso (singolo orto e sinergico). Poi la comitiva e le maestre si sono  concesse un breve relax nella zona del sinergico. Certi che questa iniziativa non rimarrà isolata ringraziamo la scuola G.Falcone di Piazza Gola per la sensibilità dimostrata verso la tematica degli Orti Urbani e in genere verso la difesa e salvaguardia dell'ambiente naturale in cui viviamo.

RAPPORTI URBANI
FARFA IN FIORE - MOSTRA MERCATO DI PIANTE E FIORI INSOLITI E RARI (locandina)
3° EDIZIONE 13/14 GIUGNO 2015
Abbazia di Farfa Via del Monastero,1 02032 FARA SABINA 
dalle ore 10:00 alle ore 20:00

Nello splendido borgo medioevale dell'Abbazia di Farfa il 13 e 14 Giugno 2015 si rinnova l'appuntamento con "Farfa in Fiore".
Per gli ortolani usufruitori dell'Orto Giardino di Aguzzano interessati all'evento ecco, oltre i previsti stand espositivi e le mostre sulle più svariate tipologie di piante e fiori, il programma della due giorni per ciò che riguarda corsi e conferenze:

Sabato 13 Giugno
ore 14:00 Corso "La coltivazione del Bonsai"
ore 16:00 Conferenza "La selezione naturale premia i frutti antichi"
Domenica 14 Giugno
ore 14:00 Conferenza "Piante grasse resistenti al freddo"
ore 16:00 Conferenza "Piante rare e insolite nel loro ambiente naturale"

Infine ci è gradito sottolineare la presenza fra gli espositori della ortolana Silvana Potente, compagna di Giuliano Granati (C28), che esporrà i suoi "Acquerelli Botanici".

RAPPORTI URBANI

  
RICERCA/STUDIO SU CASAL DE' PAZZI e IL PARCO DI AGUZZANO
a cura delle nostre ortolane Rossana Rossi e Liliana Micozzi (Orto Giardino di Aguzzano - Marzo 2015)



I DETERMINATI DELLA SALUTE
I determinati della Salute (da www.saluteinternazionale.it)

Ambiente
Aria atmosferica - Aria indoor - Acqua - Radiazioni - Rumore - Rifiuti - Clima
Stili di vita
Attività fisica - Abitudine del fumo - Abitudini alimentari - Consumo di alcol - Abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope
Determinati socio-economici


I DOCUMENTI STORICI
"La scienza del grano - parte 1" di Roberto Lorenzetti
L'esperienza scientifica di Nazareno Strampelli e la granicoltura italiana


I DOCUMENTI STORICI
"La scienza del grano - parte 2" di Roberto Lorenzetti
L'esperienza scientifica di Nazareno Strampelli e la granicoltura italiana


I DOCUMENTI STORICI


I DOCUMENTI STORICI


 
 
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